Alcune persone discutono senza contenuto o fanno illazioni prive di realismo ove non vi è senso, perché senza cognizione il sapere non ha valore. Alla base di una affermazione ci deve essere una cognizione e non una teoria poco impegnativa. Molte persone vantano una saccenteria eccessiva o si richiamano alle teorie a fondamento delle cose che non hanno capito. Questa saggezza a forfait è più facile e quindi anche assai più richiesta della opinione degli esperti. Questo genere di gravi distorsioni del vero senso oggi oramai sono di moda. Anche la nostra lingua viene contraffatta a tale scopo dalla diplomazia, dalla retorica e dalla vacuità di espressione, quindi il senso della reciproca comprensione deve cedere il passo allo smalto esterno delle formulazioni intellettuali.
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James Hillmann, “Un terribile amore per la guerra” Brossura, 296 pagine, Edizioni Adelphi, 1^ edizione 2005, codice EAN: 9788845919541, prezzo: 17,00 euro In un momento chiave del celebre film sul generale Patton, un memorabile George C. Scott passeggia per il campo di battaglia a combattimento finito: terra sventrata, carri armati bruciati, cadaveri. Volgendo lo sguardo a quello scempio, esclama: "Come amo tutto questo. Che Dio mi aiuti, lo amo più della mia vita". E' eloquente che James Hillman abbia scelto proprio questa scena, tanto spiazzante quanto rivelatrice, per introdurre il provocatorio tema del suo nuovo libro: la guerra come pulsione primaria e ambivalente della nostra specie - come pulsione, cioè, dotata di una carica libidica non inferiore a quella di altre pulsioni che la contrastano e insieme la rafforzano, quali l'amore e la solidarietà. Il presupposto è che se di quella pulsione non si ha una visione lucida ogni opposizione alla guerra sarà vana. Frantumando la retorica degli adagi progressisti - basati su una lettura caricaturale della 'pace perpetua' teorizzata da Kant-, Hillman risale così, in perfetta consonanza con la sua visione della psicologia, al carattere mitologico e arcaico di tale ambivalenza, riassunto nell'inseparabilità di Ares e Afrodite. In questa prospettiva tutte le guerre del passato e del presente appariranno quindi semplici variazioni della guerra più emblematica dell'Occidente classico, quella cantata nell'Iliade. Ma soprattutto, ricorrendo a dettagliati rapporti dal fronte, a lettere di combattenti, ad analisi di esperti in strategia - oltre che a tutti gli scrittori e tutti i filosofi che alla guerra hanno tributato meditazioni decisive, da Twain a Tolstoj, da Foucault a Hannah Arendt -, Hillman ci guida a una scandalosa verità: più che un'incarnazione del Male, la guerra è in ogni epoca - lo dimostra la contiguità tra le descrizioni omeriche e i reportage dal Vietnam - una costante della dimensione umana. O meglio, troppo umana. Questa la nota di bordo copertina del libro, che evidenzia una realtà tanto evidente quanto incredibile: l’uomo non può fare a meno della guerra. Ancora oggi, nazioni occidentali e società evolute scelgono - o forse è meglio dire non possono fare a meno – di combattere, di mandare uomini e mezzi anche a migliaia di chilometri da casa, anche con motivi così evidentemente risibili che non si capisce come si possa tentare di farli passare per buoni. La domanda che si/ci fa l’autore è proprio questa: perchè migliaia di uomini scelgono di vivere una esperienza che sanno da principio non porterà loro vantaggi, ma solo dolore e devastazione? La risposta che Hillmann propone è sconvolgente nella sua evidenza: l’uomo ha bisogno della guerra tanto quanto la guerra ha bisogno dell’uomo. Questo libro è per certi aspetti il coronamento di un percorso trentennale dell’autore, e in diversi passaggi Hillmann parla a sé stesso prima ancora del lettore; lo stile è quello a cui ci ha abituato, pantheon classico e psicologia moderna, profondi scavi nell’intimo per uscire alla luce della conoscenza. (Traduzione ed adattamento di “Introduction to the Omoto Religion” di Stanley Pranin, pubblicato su “Aiki News n° 41 dell’ottobre 1981) http://www.aikidojournal.com/article?articleID=582 Questo articolo è il riassunto di una conversazione molto interessante avuta con il Sig. Bansho Ashihara, un membro anziano della setta Omoto, ovvero una delle cosiddette “nuove religioni” del Giappone, che fu uno stretto collaboratore di O’Sensei Ueshiba Morihei durante i primi anni del 1930 in Ayabe, nella prefettura di Kyoto.. Il Sig. Bansho Ashihara si occupava della rivista “Budo”, pubblicata dalla “Budo Enhancement Association”, una organizzazione fondata con il supporto della religione Omoto. Il sig. Bansho Ashihara ha partecipato regolarmente agli addestramenti condotti da Ueshiba Morihei e riservati ai membri della setta Omoto e prese nota delle letture tenute da O’Sensei relative alle arti marziali ed agli argomenti spirituali ad esse collegati. immagine originale pubblicata sul sito dello Higashi No Yume - Aikido Udine e disponibile questa URL http://higashinoyume.altervista.org/joomla/aikido/73-parti-del-corpo-terminologia Il presente articolo è stato realizzato nel febbraio del 2008, raccogliendo e tentando di organizzare in maniera uniforme i pareri allora espressi dai vari partecipanti alla discussione tenuta su un forum di arti marziali. Ringraziamo sinceramente – oggi come allora - tutti coloro che hanno partecipato con i loro contributi.(NdR) Nella pratica a mani nude, ed ancora di più in quella con le armi, assume importanza imprescindibile l'unità di "azione-movimento", ovvero ad un colpo (uchi, atemi o percossa che sia) deve essere unito uno ed uno solo movimento, di uno o più arti o di tutto il corpo. Se prendiamo in esame un attacco fondamentale di spada come il gyaku yokomen vediamo che si parte in guardia destra con la spada ad altezza media (chudan) e si dovrebbe avanzare direttamente col piede sinistro per chiudere la distanza mentre si porta il colpo, ma spesso accade che più o meno consapevolmente il passo sinistro sia preceduto da un avanzamento più o meno percettibile del piede destro che "scivola" avanti. Cosa apparentemente insignificante, ma che comporta un "ritardo" della azione che in realtà sarebbe fatale, non solo perché ci si avvicina al partner quasi scoperti, non solo per la frazione di tempo che si perde ma anche (e soprattutto?) perché ci si muove quando la nostra "intenzione" è ancora aldilà dall'essere consolidata. Xiang Lian Bu Duan (xiāng lián bù duàn, Hsiang lien pu tuan, 相连不断) Muoviti senza interruzione Le Scuole “esterne” utilizzano una energia (Jin, jing, Chin) grossolana, detta del “Cielo Posteriore, che è l'insieme delle energie post-natali, quelle energie che costantemente rinnovate ed arricchite tramite la respirazione e la nutrizione hanno il compito di sostenere l'essere vivente fino alla morte. Si tratta quindi di una energia finita e limitata, la cui consistenza deve essere costantemente rinnovata e che è soggetta a cali, interruzioni e limitazioni. In un confronto si può essere facilmente sconfitti, se la vecchia energia si è oramai consumata e quella nuova non è ancora nata. Angelo Carlino, Maestro di Aikido 4° Dan che segue da vicino il M° Masetti, ha lasciato tra i commenti del blog del M° Daniele Bevivino, alcuni spunti di lavoro per affinare la sensibilità (tutta!) utilizzando il Jo, ovvero il bastone che si usa nella pratica dell'Aikido. Di seguito è riportato l’intervento di Angelo, leggermente editato dallo stesso Daniele. L’articolo originale risale a febbraio 2008, e viene riproposto così come ppubblicato allora e riporta quindi le esperienze e le opinioni degli autori all’epoca della redazione dello stesso. (NdR) Questi esercizi si possono fare sempre, anche da soli e come una sorta di riscaldamento dei sensi. In piedi in posizione naturale e rilassata, cominciamo a far scorrere il jo tra le mani, senza che queste staccandosi interrompano il contatto con il bastone. Ad esempio, tenendo il jo inclinato sul nostro lato sinistro ed in alto, cominceremo a far scorrere la mano sinistra sino all'estremità, seguita dalla destra per poi ritornare verso il basso. Questo maneggio comincerà a farci prendere confidenza con il bastone e ci aiuterà a visualizzare le sue dimensioni e limiti. Successivamente possiamo fare la stessa cosa, facendo girare il jo, cercando comunque di far sormontare le mani ma senza perdere il contatto. Nei Wai Xiang He (nèi wài xiāng hé, Nei wai hsiang ho, 内外相合) Armonizzare la parte esterna con quella interna Nella pratica del Tai Chi Chuan uno degli obbiettivi principali è favorire lo sviluppo dell’energia spirituale (Shen), tanto che un detto afferma che: “Lo spirito è il comandante e il corpo è il servitore” cosi se sviluppiamo il nostro spirito i nostri movimenti diverranno naturalmente agili. Per quanto a volte la pratica possa sembrare complicata, le posture da assumere non sono altro che un susseguirsi di posizioni “vuote” e “piene”, di aperture e chiusure. Quando si parla di “aperture” o “chiusure”, non bisogna limitarsi a controllare le posizioni di mani e piedi, ma deve essere coinvolta anche la mente e lo Spirito, che deve “dirigere” l’azione. Quando riusciamo a far diventare una unica unità “interno” ed “esterno”, allora il nostro lavoro potrà dirsi riuscito. |
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